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Unconventional Fit

Per molti perdere peso è un’ impresa ardua.

Chi ci riesce dopo molti tentativi e fatiche si trova ad affrontare una seconda sfida ancora più impegnativa: mantenere i risultati nel tempo.

Prima di affrontare le motivazioni che ti aiuteranno a capire perché perdere peso e mantenere i risultati nel tempo è un impresa difficile, dobbiamo spendere qualche parola per descrivere una patologia di interesse globale: l’obesità.

Cos’e l’obesità?

La cause che conducono all’obesità sono complesse. Semplificando, potremmo definire l’obesità come il risultato di un eccesso di energia che supera le reali necessità dell’organismo e che si accumula sotto forma di trigliceridi all’interno degli adipociti. Quando le scorte sono piene, i trigliceridi possono accumularsi anche in tessuti ectopici come fegato, pancreas e muscolo.

Fino a qualche tempo fa il tessuto adiposo veniva considerato come un mero accumulatore di energia; un deposito in grado di immagazzinare energia nei periodi di abbondanza e di restituirla in caso di carestia. Recentemente, si è compreso come il tessuto adiposo sia in grado di produrre diverse sostanze tra cui citochine ed ormoni.

Ecco che da tessuto si è passati alla definizione di organo adiposo.

L’obesità è caratterizzata da un alterazione nella produzione di citochine e da un infiltrazione di macrofagi all’ interno del tessuto adiposo. Queste modifiche concorrono insieme ad altri fattori ad instaurare un infiammazione locale e sistemica, in grado di aumentare il rischio di malattie croniche come l’ipertensione e il diabete.

Perdere peso per affrontare l’ obesità

Un trattamento efficace per contrastare l’obesità e le complicanze associate consiste nella perdita di peso pari ad almeno il 10%.

Per perdere peso è necessario generare un bilancio energetico negativo, una condizione in cui la spesa energetica supera l’energia introdotta con gli alimenti.

Il bilancio energetico rappresenta la differenza tra la quantità di energia introdotta con la dieta e quella spesa per far fronte alle richieste dell’organismo

In questo caso si costringerà l’organismo a ricavare l’energia necessaria dalle proprie scorte. In altre parole possiamo definire la dieta come strumento per simulare una carestia.

Il bilancio energetico è dinamico

La prima legge della termodinamica sostiene che se l’energia introdotta con la dieta supera quella utilizzata si verificherà un accumulo di energia. Al contrario, se si introduce meno energia di quella necessaria si verificherà una diminuzione di energia accumulata dalle riserve.

Possiamo riassumere quanto detto in una formula semplice:

Energia introdotta > Energia utilizzata = accumulo di energia

Energia introdotta < Energia utilizzata =  rilascio di energia

Questa legge viene applicata in nutrizione quando si stima la perdita di peso perso a seguito di una dieta ipocalorica con la regola delle 3500 kcal.

Per farlo si stima il fabbisogno energetico di una persona e si stabilisce quanta energia (Kcal) sottrarre al suo fabbisogno. Sulla base del deficit creato si stima quanto peso la persona perderà in un determinato periodo di tempo. Per fare questi conti è necessario conoscere quante calorie corrispondono ad un chilogrammo di grasso: 7000 Kcal.

Purtroppo questo approccio risulta troppo semplicistico, ne ho parlato in maniera dettagliata in questo articolo.

Infatti non riconosce che il bilancio energetico è dinamico e tende ad adattarsi alle variazioni dell’energia disponibile. Durante una dieta ipocalorica  avvengono degli adattamenti metabolici e comportamentali che porteranno ad una diminuzione del dispendio energetico.

Il deficit creato verrà compensato da una diminuzione del dispendio energetico giornaliero.

Questa è una delle strategie che il nostro organismo mette in atto per far fronte alla restrizione energetica e che rendono difficile per molti una perdita di peso significativa.

Ma non è tutto.

La fregatura della termodinamica

La seconda legge della termodinamica sostiene che le reazioni cellulari che generano ATP non sono perfettamente efficienti. Una parte di energia derivante dall’ossidazione degli alimenti viene persa sotto forma di calore piuttosto che essere utilizzata per produrre ATP.

Qui avviene la seconda fregatura:  quando si genera un bilancio energetico negativo, il metabolismo diventa più efficiente, sprecando meno energia sotto forma di calore.

Tuttavia, esiste una certa variabilità inter-individuale che potrebbe, almeno in parte, spiegare perché alcuni individui sono più restii nella perdita di peso rispetto ad altri.

Perdere peso nel lungo periodo

Fino ad ora abbiamo analizzato le cause che rendono difficile perdere peso. Abbiamo analizzato la tendenza dell’organismo ad adattarsi alle perturbazioni energetiche modificando la spesa energetica e ottimizzando i processi metabolici da cui ricava energia.

Aggiungiamo un altro tassello.

È stimato che solo il 20% di chi perde peso sia in grado di mantenere il risultato nel tempo.

Questa difficoltà risiede principalmente nell’incapacità di mantenere uno stile di vita idoneo alla perdita di peso in un ambiente obesogenico. Un ambiente in cui c’è molta disponibilità di cibo industriale (pensate ai fast food) associato ad uno stile di vita sedentario.

Oltre all’ambiente esistono fattori metabolici che contribuiscono a rendere difficile il mantenimento della perdita di peso. Questi  concorrono a ristabilire un bilancio energetico positivo in grado di far guadagnare nuovamente il peso perso

Il gap energetico

Fintanto che il peso rimane stabile significa che il bilancio calorico è neutrale, e che l’energia in entrata pareggia quella in uscita.

In risposta ad una dieta restrittiva, il deficit energetico e la perdita di peso causano un aumento della fame ed una diminuzione della spesa energetica.

La discordanza tra energia desiderata (appetito) e l’ energia necessaria (fabbisogno) viene definita gap energetico.

Come conseguenza della perdita di peso vengono inviati segnali dalla periferia all’ipotalamo (una zona nel cervello deputata al controllo energetico)  con la funzione di aumentare la fame e diminuire il dispendio energetico con l’obiettivo di risparmiare energia.

Perdita di peso, fame e sazietà

Diversi fattori contribuiscono ad aumentare la discordanza tra energia necessaria ed energia desiderata, aumentando il gap energetico.


Il ruolo degli ormoni

Prima ho citato l’ipotalamo come quella zona del cervello in cui vengono integrati i segnali provenienti dalla periferia. Questi, provengono da diversi organi come fegato, intestino e tessuto adiposo e regolano il dispendio energetico nonché l’inizio, la fine e la frequenza con cui ci si ciba.

Leptina e Insulina

I principali ormoni coinvolti nella regolazione della fame e della sazietà sono la leptina e l’ insulina.

Questi circolano in proporzione alla quantità di grasso presente nel tessuto adiposo e si legano ai recettori dei neuroni ipotalamici. In risposta al loro legame sono in grado di modulare il rilascio di ormoni anoressizzanti, che sopprimono l’appetito e aumentano il dispendio energetico, e ormoni oressizzanti, che aumentano la fame e diminuiscono il dispendio energetico.

Un controllo inefficiente nella perdita di peso

Se il meccanismo di controllo fosse efficiente dovrebbe proteggerci su entrambi fronti: aiutandoci a risparmiare energia nei periodi di carestia e evitare eccessivi accumuli di energia nei momenti di grande disponibilità.

Sembra però che questi meccanismi siano più sensibili nel riconoscere la restrizione energetica piuttosto che la sovra abbondanza. Infatti, gli individui obesi mostrano un alto livello di leptina circolante senza una conseguente diminuzione nell’assunzione di cibo suggerendo una resistenza alla leptina.

Dall’altra parte, durante la perdita di peso, la diminuzione di leptina non è proporzionale alla quantità di tessuto adiposo perso. Questa diminuisce molto più velocemente e rimane bassa anche nei periodi di mantenimento del peso a seguito di una dieta.

Ecco spiegato in parte perché dopo aver perso peso, nonostante si incrementi l’apporto di energia, rimane la tenenza ad avere più appetito del normale.

La grelina

Un altro ormone rilevante nel controllo dell’appetito è la grelina.  Questo ormone è prodotto dalle cellule ossintiche dello stomaco e presenta anch’esso dei recettori a livello ipotalamico.

Negli individui magri la grelina aumenta durante il digiuno e diminuisce con i pasti in maniera proporzionale al quantitativo calorico assunto.

Gli individui obesi non mostrano lo stesso livello di soppressione in risposta all’ingestione di un pasto. Inoltre, la perdita di peso porta ad un elevazione della grelina circolante che persiste durante il periodo di mantenimento.

Questo contribuisce a generare ed amplificare  il senso di fame indotto dalla diminuzione della leptina circolante

Uno studio interessante (Cornier et al.) ha valutato la risposta del cervello alla visione di immagini di cibo durante un periodo di sovralimentazione in due gruppi di persone. Un gruppo era costituito da soggetti dimagriti, l’altro gruppo era formato da soggetti magri senza  problemi di gestione del peso.

Il risultato è stato sorprendente: nonostante entrambi i gruppi avessero ricevuto una quantitativo di cibo superiore al loro fabbisogno energetico, solo il gruppo dei soggetti magri sperimentava una minor stimolazione in seguito alla visione del cibo.

Take home message

Durante una dieta per perdere peso si crea un divario tra l’energia necessaria dall’organismo e quella richiesta.  Il meccanismo di controllo è complesso e integra a livello cerebrale diversi segnali provenienti dalla periferia.

Questi cambiamenti portano ad un aumento del senso di fame, una maggiore attrazione verso i cibi palatabili ed un minor senso di sazietà durante i pasti.

I meccanismi che controllano la fame e la sazietà non sono efficienti, in alcune persone la tendenza a riprendere peso potrebbe essere una pulsione biologica.

Perdita di peso e dispendio energetico

Nei precedenti paragrafi ho discusso come la quantità di energia introdotta tramite gli alimenti sia in grado di influenzare la quantità di energia spesa durante la giornata attraverso alcuni adattamenti fisiologici. Per capire dove si verificano questi adattamenti bisogna scomporre il dispendio energetico nelle componenti che lo costituiscono.

Dispendio energetico giornaliero

Il dispendio energetico (Total Daily Energy Expenditure) è la quantità di energia quotidiana che il nostro corpo  consuma ed è la somma di 4 componenti:

Metabolismo Basale (BMR)

Il metabolismo basale rappresenta l’energia spesa per mantenere le funzioni vitali del corpo a riposo e a digiuno.

Termogenesi indotta dalla dieta (TEF)

Rappresenta la spesa energetica che il corpo impiega per digerire e metabolizzare il cibo assunto con la dieta.

Termogenesi indotta dall’attività fisica (PAEE)

La termogenesi da attività fisica rappresenta la spesa energetica che il corpo utilizza per muoversi. Questa è suddivisa in:

Termogenesi indotta da attività fisica non spontanea (NEAT): costituisce l’ energia necessaria a supportare le attività della vita quotidiana.

Rientrano in questa categoria il numero di passi svolti durante la giornata e i movimenti involontari dei segmenti corporei.

Termogenesi indotta da attività fisica spontanea (EAT): costituisce l’energia necessaria a svolgere attività fisica .

Rientrano in questa categoria la pratica di allenamenti strutturati e programmati.

La perdita di peso è associata ad una diminuzione del dispendio energetico giornaliero (TDEE).

Termogenesi adattativa

I primi studi che hanno misurato la diminuzione del metabolismo giornaliero hanno dimostrato come questa non poteva essere spiegata solamente con la perdita di tessuto metabolicamente attivo.

La diminuzione generale del dispendio energetico sarebbe quindi causata  anche da un fenomeno che prende il nome di termogenesi adattativa, una modifica del dispendio energetico che non dipende dalla diminuzione della massa magra metabolicamente attiva.

La termogenesi adattativa, associata alla diminuzione del metabolismo basale, potrebbe essere dovuta ad un cambiamento della composizione nella massa magra, alla diminuzione dell’attività del sistema nervoso simpatico e alla diminuzione degli ormoni circolanti come Leptina, Insulina ed T3,

Questi adattamenti sono in grado di persistere a lungo termine.

Take home message

Gli effetti della perdita di peso sul EAT e sul NEAT sono variabili. Certamente la riduzione del peso diminuisce la spesa energetica necessaria a svolgere le medesime attività. Da un lato ottimizzando l’efficienza e l’economia del gesto, dall’altra richiedendo un lavoro minore.

I cambiamenti nel dispendio energetico durante una dieta ipocalorica non sono riconducibili solamente alla perdita di massa magra ma interessano tutte le componenti del dispendio energetico.

Queste modifiche possono generare una difficoltà nel perdere peso e favorire la ripresa del peso perso se non c’è una riduzione  proporzionale nell’assunzione di cibo. A rendere tutto più difficile interviene un aumento dell’appetito e un contesto ambientale obesogenico.

Nel prossimo articolo andremo a definire alcune strategie utili a contrastare questi meccanismi e favorire una perdita di peso duratura nel tempo.

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